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La neve si scioglie

Seconda e ultima parte di "Cavalieri e cocaina"

I giorni e le notti si alternavano con una pigra flemma, mentre la Compagnia del Sole languiva: erano pronti ad agire, le lame erano affilate e le armature ben allacciate. Non si trattava però di un problema di forza, bensì di giochi di potere.

L'influenza di Paulus aveva intaccato anche gli alti passeri di Qohor, che non permettevano all'esercito loro ospite di muoversi, o sarebbero state prese contromisure drastiche, fino ad arrivare al sangue. Il capitano comprendeva bene questa minaccia: una cosa era affrontare una banda di banditi, addestrati e armati alla bell'e meglio, un'altra era venir caricati dai regolari di Qohor. La loro armata era di gran lunga numericamente superiore alla loro, ma più che la perdita di una manciata di soldati il timore era quello di creare un incidente diplomatico, e c'era un solo modo per risolvere incidenti del genere: la guerra.

Dopo pressioni, minacce e lusinghe ottennero un permesso, il minimo per sgranchire le gambe: fu concesso loro di pattugliare la città, stanando i seguaci di Paulus. Riuscirono così a gettare le basi di una rete di spie, che a mano a mano si infiltrava sempre di più vicino al castello nella foresta. Però restavano comunque soldati, non spie: i primi infiltrati furono scoperti, alcuni molto vicini a Paulus stesso. Le informazioni che portarono furono minime e poco rilevanti, riuscirono a catturare qualche carico, ma instaurarono un clima di insicurezza e testione nelle file di Paulus, e con la tensione arrivarono i gli errori.

Giù la maschera

Ben presto Paulus rivelò la sua vera faccia: non si accontentò di giustiziare le spie, ma le torturò per ore, cercando di spremere fino all'ultima informazione riguardo Qohor e la Compagnia, ed espose i corpi nella piazza centrale di Qohor, con la chiara intenzione di lanciare un messaggio: Chi va contro di me muore.

In un unico gesto spezzò il sottile filo che teneva le redini delle forze armate: gli ultimi funzionari corrotti si esiliarono nottetempo dalla città, fuggendo come conigli. Quelli che stoicamente decidettero di restare vennero trovati e giustiziati. I due eserciti si affiancarono per calare il pugno di ferro sulla fortezza nella foresta.

Colpirono alla luce del sole, accompagnati da squilli vibranti di trombe e il ritmo dei tamburi da guerra. Non fu una battaglia, fu un eccidio: vennero uccisi centinaia di banditi, e non importava se chiedessero pietà, la spada continuava ad abbassarsi. La resistenza fu scarsa e irregolare, e mentre si inoltravano attraverso il labirinto di tronchi un terribile timore cominciava a materializzarsi nella loro testa.

Con pochi colpi di un ariete improvvisato il portone centrale della fortezza cedette, concretizzando ogni loro paura: al centro dell'ampio cortile interno si ergeva un falò fumoso, spire di fuoco abbracciavano antichi tomi e scheggie di ampolle, ormai in mille pezzi. Se n'erano già andati.

Attrito interiore

La battaglia della fortezza dal punto di vista militare fu un esempio da manuale: ci fu una sola perdita, qualche dito di meno e un po' di graffi superficiali. Dal punto di vista tattico invece erano stati distrutti mesi di lavoro: non avevano lasciato prigionieri, non avevano nessuna informazione più tecnica sulla "neve", e cosa peggiore non sapevano dove fosse scappato Paulus.

L'unica cosa a questo punto da fare era cercare una pista: parte della Compagnia tornò ad Approdo del Re per fare posto a spie ed assassini. La guerra era cambiata, si giocava dietro le quinte, come una lunga partita a scacchi.

Le autorità di Qohor fecero altrettanto: sguinzagliarono i loro segugi che, forti della conoscenza del continente occidentale, ben presto trovarono i primi indizi. Lo percorsero ampiamente, quasi bussando nuovamente alla porta di Paulus, senza però dire nulla alla Compagnia.

Ormai la testa di Paulus era diventata un trofeo: sia Approdo del Re che diverse Città Libere avevano piazzato una taglia su di lui, e conquistarla significava appendere la spada al chiodo e vivere come un principe per il resto della vita. Ormai non era più una crociata contro il male, per il bene dell'umanità, ma una continua schermaglia per l'oro.

Gli esponenti della Compagnia furono particolarmente risentiti da questo comportamento e a loro volta secretarono le loro informazioni, rallentando la ricerca. Da questi sconti interni soltanto una persona poteva giovarne: Paulus stesso.

La tana del Coccodrillo

In questo tempo di instabilità Paulus di certo non restò con le mani in mano: per spianarsi la strada verso le coste orientali corruppe chi poteva corrompere e minacciò tutti gli altri. I primi minacciati pensarono che fossero soltanto vuote chiacchiere, ma ben presto si ricredettero: la testa del proprio primogenito davanti la porta di casa è un argomento che convince facilmente e per lungo tempo.

Non esisteva classe sociale che fosse immune da questa politica del terrore: venivano colpiti i funzionari delle Città Libere, le guardie portuali, le compagnie di mercenari che vagavano per Essos, perfino i grossi clan di nomadi criminali che infestavano il mare Dothraki.

Sembrava che tutto girasse a meraviglia per Petrus, finché non si sporse troppo: minacciò il capo del Clan dei Coccodrilli, nome scelto non a caso. La natura di banditi impose loro di non prestare attenzione alle minacce di un forestiero, ma non si accontentarono, anzi sbeffeggiarono le minacce di Petrus.

Quest'ultimo, sentendosi ferito nell'orgoglio, non rispose a voce ma a fatti: al centro del campo fortificato del clan giaceva la testa della giovane moglie del capo. Uscendo alle prime luci dell'alba il capo fece la macabra scoperta, e urlò al cielo, urlò grida di rabbia e vendetta.

Entrò così in gioco un nuovo attore, un attore ingombrante e letale, libero dai legacci politici che imbrigliavano Qohor e la Compagnia. Il declino di Petrus aveva avuto inizio.

Lungo tramonto

Pur essendo un agglomerato di briganti e assassini il Clan del Coccodrillo non era composto da stolti: usarono un'arma più sottile dell'omicidio per azzoppare l'impero di Paulus: diffusero la notizia che il noto Clan del Coccodrillo era in conflitto con i fabbricanti della polvere maledetta, come veniva chiamata da loro.

La voce si diffuse a macchia d'olio, e presto non c'era cifra abbastanza alta per corrompere e non c'era omicidio abbastanza efferato per convincere: l'intero continente occidentale stava impedendo il contagio di Paulus. Anche le vendite di "neve" furono troncate: i Coccodrilli fecero leva su motivazioni religiose o di semplice folklorismo popolare per persuadede il popolo contro il consumo di essa.

Ben presto Paulus fu costretto a fuggire da una parte all'altra di Essos, tallonato dai Coccodrilli, e ogni volta che partiva lasciava una parte di sè nel tragitto: gli alchimisti, creature pavide e non conosciute per il cuore guerriero, spinti dalla paura del futuro cominciavano a lasciare furtivamente il carrozzone allo sbando di Paulus. Il fiume in piena che era la "neve" che veniva distribuita si ridusse velocemente ad un rigagnolo, fino ad arrestarsi del tutto: le entrate si erano azzerate.

Niente più denaro significa niente più salari, e niente più salari significava niente più mercenari. Loro vanno dove annusano oro, non c'è pericolo o peccato che conti quando il committente paga, e Paulus non poteva più pagare. Restò soltanto un manipolo di guardie, legate a lui per motivi di amicizia ed onore, pronte a sacrificare la propria vita per saldare un debito morale.

Paulus prese un'inaspettata e pericolosa decisione: sapeva di avere ben tre eserciti alle calcagna e voleva vedere dove tutto era cominciato di nuovo: la fortezza nella foresta.

Pensieri di un innocente

Non trovarono più nulla: la fortezza era stata data alle fiamme e rasa al suolo. Paulus decise comunque di stabilirsi lì, costruendo dei rifugi di fortuna. Furono giorni di introspezione: ormai sapeva che non avrebbe più potuto nemmeno sperare di acquistare lo scranno dorato di Qohor, come aveva sempre desiderato. L'enorme villa azzurra e bianca a Pentos che tanto aveva ammirato? Soltanto fumo ormai. E con essa anche quell'appezzamento sul mare Dothraki, le farzose feste di Quarth e quel magnifico giardino estivo a Westeros, a Lancia del Sole.

Dopotutto non poteva neanche addossarsi tutte le colpe: non era un alchimista, ma soltanto una persona con un carisma molto forte, e fu per lungo tempo ignaro degli effetti collaterali della "neve". Ma veramente li ignorava?

Sul groppone gli pesavano tutti gli assassini compiuti in quegli anni, ma erano stati necessari per nascondere le proprie tracce o per mandare un chiaro messaggio. Non aveva mai ucciso per divertimento, anzi l'idea lo ripugnava, ma soltanto per dovere. Sapeva in fondo di essere un codardo: la particolare resistenza della carne che esercitava sul suo coltello quando uccideva qualcuno gli faceva venire il voltastomaco; fortunatamente una schiera di sicari lo sgravava da questo compito.

Non lo sgravava però dalle turbe morali una volta appoggiata la testa sul morbido cuscino: era stato veramente necessario assassinare? Si poteva ricorrere ad altri metodi? Passava ore e ore a convincersi, ed erano anni che non aveva un sonno tranquillo.

Tirò le somme, e convenne alla dura realtà: non aveva più niente da perdere, l'ultima cosa che potevano togliergli era la vita. Era pronto a morire.

La corsa della lepre

Non si fecero attendere: Paulus venne tradito dal fumo dei falò, particolare che aveva notato, ma di cui non si era curato, in preda alla più oscura delle autocommiserazioni. Ben presto venne costuito un gruppo d'assalto formato in parti uguali dai Coccodrilli, dall'esercito di Qohor e dalla Compagnia. Irruppero all'alba nella radura dove giacevano ancora le ceneri, lavate da mille temporali, della vecchia fortezza. La guardia di vedetta suonò il corno d'allarme e un trambusto dentro i rifugi di fogliame segnalò l'avvenuta ricezione.

Si mise in formazione uno sparuto gruppo di guardie, cinque o sei, in una fila irregolare, le lancie spuntate e arrugginite, con un emaciato Paulus dietro, che teneva a due mani la piccola daga rovinata, gli occhi infossati dal terrore.

Presto si resero conto che quella era una battaglia che non avrebbero mai potuto vincere; fecero perciò quello che ogni esercito non addestrato fa: gettarono le armi, voltarono le spalle e cominciarono a correre disperatamente. Quello fu il loro grande errore. Gli arcieri incoccarono le freccie nel piccolo arco ricurvo e non sbagliarono il colpo: come per destino rimase in piedi soltato Paulus, che continuava a correre a perdifiato.

L'inseguimento continuò senza esitazione, mentre i Coccodrilli rimasero indietro a finire le guardie morenti. Squarciando il fitto fogliame con la daga Paulus cercava un riparo. Conoscendo bene quelle fronde poteva ricavare un certo vantaggio. Intravide una spaccatura sulla roccia che poteva accogliere un uomo, un ottimo nascondiglio. Le speranze furono subito infrante da un giavellotto della Compagnia che con un sibilo si infilò nella sua gamba, facendolo ruzzolare nella polvere. Con un urlo straziante spezzò la punta fuoriuscita dalla parte anteriore e cercò di rimettersi in piedi. Presto un altro giavellotto lo raggiunse, colpendolo in profondità sulla spalla, invalidandolo permanentemente. Si chiese se quella fosse veramente la fine che meritava, se la somma dei peccati e delle opere pie fosse quel dolore lancinante. Ben presto la risposta si materializzò nella sua testa e, in pace con se stesso, chiuse gli occhi proprio mentre i soldati fendevano il cespuglio che lo nascondeva.

Epilogo

Il cadavere tumefatto e irriconoscibile rimase esposto per intere settimane nella piazza centrale di Qohor. Quando lo staccarono dal palo sul quale era inchiodato ormai i corvi avevano completamente scarnificato il cranio. Venne gettato senza tante cerimonie in una buca scavata appena fuori dalla città, e sempre senza tante cerimonie fu coperto di terra e lasciato a marcire per l'eternità, senza neanche una lapide che ne commemorasse i resti mortali.

Il grosso del bottino andò alla Compagnia, ma gli uomini già lo sapevano che a loro non sarebbe spettato nulla. Una campagna di poche settimane si trasformò in un insegumento di anni, e le truppe non si pagavano da sole.

Tornarono in patria non senza un'ombra di delusione per quell'avventura, e una volta toccate le coste di Approdo del Re condirono come poterono il loro viaggio, giusto per non dire che avevano poltrito per mesi, rendendolo un'avventura degna dei più intrepidi. Diversi storici annotarono su lunghe pergamene questi racconti, ma erano così discordanti l'uno con l'altro che nessuno seppe la vera storia di Paulus.

L'incubo sembrava finito, ma in verità per alcuni non era mai iniziato: la vita semplicemente scorreva un giorno dopo l'altro. Finché non successe nuovamente: un cadavere pallido, accasciato in modo innaturale contro la parete di un vicolo seminascosto, con una sottile riga di sangue che scendeva da una narice, fino a macchiare la logora tunica di lana grezza. Il fantasma della neve era tornato dall'oltretomba.

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