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Al lancio dei dadi

Grandi scoperte del fantasy dopo il quarto di secolo

Tirando le somme, posso riassumere l’ultimo anno come l’anno delle scoperte. Negli ultimi dodici mesi ho imparato un sacco di cose: ho scoperto anime come Evangelion, ho imparato come si lavora nel mondo del cinema e ho conosciuto persone per cui provo un sincero e reverenziale timore. Anche un po’ di invidia, aggiungerei, ma di quella buona, quella che puoi usare come energia per andare avanti. Ho preso anche un bel po’ di cantonate e delusioni, principalmente perché, tra le altre cose ho scoperto di essere un coglione. In verità lo sospettavo da parecchio tempo, ma una vocina dentro di me mi fermava sempre: “Dai Davide, non sei così testa di minchia come pensi di essere”. Mentiva. Sono un coglione. E pure egocentrico, se ve lo state chiedendo.

Nonostante tutto, una delle cose che ho scoperto e che mi ha preso più di qualsiasi cosa è un gioco, ben più vecchio di me, penso si possa definire il vero e proprio gioco di ruolo. Sì signori, sto parlando di Dungeons and Dragons.

Ne avevo già sentito parlare parecchio, come si confà a chi possiede un po’ di Internet Culture, ma non avevo mai avuto modo di approfondire l’argomento, tanto meno di giocarci. Invece all’inizio del mio periodo Red, approssimativamente inizio aprile, ho cominciato la mia prima campagna con un ragazzino, un ragazzino nobile e con enormi poteri da stregone, irruento nelle decisioni, altezzoso e fiero del nome della sua famiglia. Ma del giovane Nestor parlerò in separata sede.

Già dalla prima sessione, però, ho avvertito una sensazione nuova. Anzi non nuova, ma che non avvertivo da veramente molti anni. L’ho provata l’ultima volta credo dieci anni fa, leggendo un libro, Uccelli da Preda di Wilbur Smith per essere precisi: non riuscivo a staccarmi dalle pagine. Ci pensavo tutto il giorno: cosa sarebbe successo quella sera al povero Hal Courteney?

Una totale immersione all’interno della storia, vissuta dal punto di vista del narratore onnisciente: posso ancora ricordare ogni dettaglio dei personaggi e qualsiasi antro nascosto della Lady Edwina, il loro vascello. Me li ricordo così bene non perché il buon Wilbur li ha descritti al millimetro, ma perché queste persone le ho create io. Ogni lettore di questo libro, e per estensione di ogni libro, ha la sua versione di Hal, di Sir Francis e di Katinka van de Velde. Ed è esattamente questo che D&D ha rievocato: ognuno di noi gioca nello stesso mondo con le stesse persone, ma ognuno di noi ne vede la propria versione, creata in base alle esperienze che ha accumulato negli anni.

Per quanto sia videogiocatore da molti anni ormai, e di pellicole ne abbia consumate parecchie, queste non potranno sostituire questa sensazione per il fatto che non hai bisogno di immaginarti il mondo: è già lì, davanti a te, già vivo e in movimento. A volte, quando leggo o gioco, mi sento in colpa, perché la prima cosa che faccio di fronte alla descrizione di un paesaggio o una persona è compararlo con l’analogo di qualche videogame o serie TV. E allora cerco di sforzarmi e dare alla luce una creatura solamente mia, non qualcosa di prefabbricato. È certamente uno sforzo a volte, per isolarsi da anni di accumulazioni di stili serve qualche minuto, ma il risultato è impagabile.

Ma non mi sono innamorato di D&D soltanto per l’immersione: per ottenere questo risultato è necessario che tutti giochino il proprio personaggio come l’hanno creato, con i suoi pregi e difetti: Nestor era irruento e sicuramente non pensava due volte ad aprire la porta di una casa molto più che sospettosa. Come Davide, sapendo che è un gioco, riconosco che fosse una cosa stupida e irresponsabile, ma il mio personaggio era un sedicenne che ha vissuto la sua vita all’interno del maniero della famiglia, doveva dimostrare di essere degno del nome degli Olendir. Quindi, senza pensarci due volte, superai i miei compagni posizionati a spiare all’interno della casa e aprii la porta. Questo si chiama roleplay.

È come un’esperienza attoriale: devi comportarti come si comporterebbe il tuo personaggio. Se lui ride tu ridi, se lui è triste tu sei triste. Se il tuo personaggio è di allineamento cattivo e ti viene posta una scelta, dovrai scegliere quella meno eticamente corretta. Si tratta di calarsi nei panni di un personaggio creato da te stesso, scrittore e attore nello stesso momento, e devo dire che anche senza nessuna esperienza da attore è stato più che divertente (e soddisfacente) mettersi in gioco e non solo tirare i fili del personaggio, ma anche parlare con la sua voce e mimare le sue gestualità.

Ma la cosa più divertente di tutto ciò è che non puoi prepararti a ciò che avverrà: non esiste un copione. E questo è il terzo elemento fondamentale di D&D: l’improvvisazione. Può veramente capitare di tutto, e sia come giocatore che come Dungeon Master (colui che guida il gioco) devi elaborare in pochi secondi, altrimenti potresti perdere un’opportunità: lasciare fuggire il ladro che ti ha appena rubato il borsello, perdere la mano della dama che corteggiavi, lasciare morire il prigioniero che avevi appena salvato. O potresti morire tu stesso.

Dalla mia limitata esperienza, D&D è spesso vissuto, per comparazione, come le avventure di Hobbiville: un gruppo di scanzonati avventurieri vagano per il mondo in cerca di nuove avventure, nel segno dell’amicizia e della collaborazione. Un settings molto diverso da altri RPG più seri come Vampire: the Masquerade o Frostgrave. Ed è proprio per il fatto che di base ci si diverte che i giocatori cercheranno sempre la soluzione più ortodossa per arrivare al loro obiettivo. Spesso falliranno, e ciò avrà delle conseguenze, ma tutto si concluderà con una sana risata. È importante però ricordare che in D&D si muore terribilmente facile. Esiste un range tra gli zero punti vita e la vera morte del personaggio, ma basta una singola scelta sbagliata e il tuo personaggio fa un salto troppo corto e precipita nel vuoto per duecento metri, oppure sbadatamente lancia la palla di fuoco sui barili di polvere da sparo in fondo alla stanza, vaporizzando mezzi compagni.

Ho letto spesso su Reddit che i giocatori talvolta portano fuori dal gioco i propri rancori e le proprie opinioni. Fortunatamente al mio gruppo non è successo, però ho letto di amicizie distrutte e anni di rapporti andati in fumo. Se non avete mai giocato e volete provare, lasciate i pensieri del vostro personaggio al vostro personaggio. Fategli fare cose cattive, giudicate e malmenate perfino i vostri compagni se fanno cose malvagie, ma lasciatele all’interno del mondo di gioco. Provare rancore per una persona che ha rubato qualcosa al tuo personaggio è stupido: in quel momento stava interpretando il suo personaggio, e l’unica cosa che puoi ricavarci è passare come persona stupida.

C’è da dire però che come giocatore graffi appena appena l’immenso mondo al di sotto del Player’s Handbook, il manuale di gioco. Se mai vi capiterà di prendere in mano la Dungeon Master’s Guide sfogliatela soltanto, senza soffermarvi troppo sulle parole: infinite possibilità vi si materializzeranno davanti, avventure che vorrete raccontare e far vivere ai vostri amici. Questa guida non soltanto spiega come guidare una campagna, ma descrive il macrocosmo di D&D, i suoi piani e le sue creature; vi aiuterà a scrivere una storia emozionante per i giocatori e a costruire i luoghi che calpesteranno.

Ho avuto la fortuna di scrivere una piccola avventura una volta conclusa la mia prima campagna, qualcosa che all’inizio doveva essere di una serata soltanto, ma poi si è evoluta in qualcosa di più complesso. Ho scelto come mondo lo stesso della campagna precedente, anche se la mia si svolge all’interno di un enorme complesso nascosto collegato alla Scuola Astrale, una vecchia conoscenza da La Guerra dei Piani. Costruire ogni angolo di quel posto e addobbarlo con terribili mostri è stata una delle esperienze genuinamente più divertenti degli ultimi anni.

La bellezza del mondo di D&D è la sua flessibilità: il regolamento base è soltanto il pilastro che regge tutta l’avventura, mentre ogni mostro, oggetto magico e luogo è personalizzabile, a gusto del Dungeon Master. In questo modo si riescono ad incastrare mostri in contesti nei quali non potrebbero esistere. Ovviamente, bisogna che tutto sia contestualizzato: difficilmente un gruppo di avventurieri troverà una tribù di merfolk, che per vivere hanno bisogno d’acqua, nei Nove Inferi, comprensibilmente devastato da fiamme infernali. Rompere il contesto fa rompere a sua volta anche l’immersione, creando un’avventura giocata controvoglia da avventurieri annoiati.

La mia banda di intrepidi avventurieri ha già svolto qualche serata all’interno del labirinto; ammetto che il divertimento di guidare la partita invece di giocarla soltanto è cento volte maggiore. È cento volte maggiore anche l’impegno che ci devi mettere, soprattutto se non si tratta di un’avventura contenuta ma di una campagna a termine indefinito, dove devi intrecciare le storie di ogni avventuriero, intrecciandole nel loro mondo. Però devo ammetterlo: a fare queste cose a volte mi sento un po’ uno scrittore.

Ah, dopo aver aperto quella porta successero un sacco di cose brutte, ovviamente. Però che ci vuoi fare, colpa di Nestor.

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