Ci siamo: partiamo alla volta di H-Farm per un altro hackathon. Il primo dell'anno, non ne faccio più molti ultimamente; mi presento in un team relativamente nuovo, tra vecchi compagni di avventure e nuovi amici. Si parte un po' assonnati, ma con un po' di buona musica (suggerita da Giovanni, non è colpa mia, giuro) si risolleva il morale.
Dopo una corsetta per una strada costellata da vecchietti molto lenti e trattori ancora più lenti svoltiamo nella polverosa stradina che concude ai parcheggi della struttura che costituisce il cuore di H-Industries. Lasciamo la roba in auto e ci avviamo a fare la registrazione, nella hall della nuovissima sala conferenze. Fortunatamente non c'è nessuno, quindi svolgiamo l'operazione in scioltezza. Mi costringono a firmare un NDA (non disclosure agreement) nel quale in poche parole prometto di vendere la mia anima al diavolo, anche se tanto la mia è già persa da tempo.
Apro la fantasmagorica bag che mi hanno regalato, ci trovo dentro la bellezza di tre gadget: una maglietta brandizzata Oakley che posso usare come bandana, un cappellino che neanche per mi passa per la fronte e un paio di Ray-Ban Wayfarer che non metterò mai. Ma non importa, l'importante è partecipare.
E invece no, sono in ritardo. Stranamente.
Soltanto un'ora di ritardo, niente male. Comincia il “patron” Riccardo Donadon parlando di cos'è H-Farm, di cosa sta costruendo, di cosa sarà in futuro, insomma un sacco di chiacchiere. La parola passa a qualche manager di Luxottica, parlando sempre di cos'è Luxottica, di quanti sono in tutto il mondo, i loro brand, quanti store hanno eccetera eccetera, un'infinita lista di dati.
Dopo un'estenuante ora di numeri e dati passano a presentare il pitch vero e proprio: hanno deciso di dividerlo in due scenari, uno completamente digitale e l'altro fisico, in ogni caso l'obiettivo è sempre quello: estendere l'esperienza del cliente senza limitarsi soltanto all'occhiale, creando una continuità e uno storico che porterà a fidelizzare il compratore.
Tutto figo, tutto bello, se non avessero piazzato subito dei pesanti paletti: niente configuratore, niente camerino in realtà aumentata, niente chatbot per il customer care. Insomma, a meno che tu non abbia avuto l'illuminazione divina la strada del primo scenario è chiusa.
Il secondo, ossia lo scenario fisico, invece permette di studiare un range di idee più ampio perché partendo dalla vetrina esterna, punta a fidelizzare e coinvolgere il cliente fino ai servizi post-vendita, per farlo entrare nel concetto di grande famiglia Luxottica che a loro sta tanto caro.
Ripetendo parecchie volte le stesse cose riescono a concludere il loro pitch. Bene, si comincia a lavorare ora?
E invece no!
Appunto, e invece no. Sale sul palco un tizio che a prima vista sembra un figlio dei fiori nostalgico, ma fin dal primo minuto si percerisce che è uno che ne sa a pacche. Alla fine si presenta, e scopriamo il suo nome: Martin Wezowski, chief designer in SAP, una piccola azienda tedesca che processa circa l'80% delle transazioni a livello mondiale. In ogni caso è un talk esplosivo e pieno di vita, dinamico e divertente; si parla di come il progresso avanzi più velocemente di quanto possiamo assimilare informazioni, e di come diventare veri innovatori. Tutto ciò per la prima mezz'ora.
Gli riservano un'intera ora di spazio per parlare, e non è facile tenere a bada una folla di 800 persone che si è già sorbita due ore di talk vagamente utili, il tutto in inglese. Però alla fine, con un rincuorante "Thank you" chiude anche lui la sua arringa e siamo quasi liberi di andare. Però prima la foto di rito.
Andiamo a prendere il nostro panino e ci organizziamo per accaparrarci il posto migliore. Da esperienze passate volevamo evitare come la peste la Serra, un posto bellissimo, però circondato interamente da pareti di vetro, e fidatevi che non è divertente lavorare con il sole che batte dentro quel forno.
Ok allora, il dado è tratto, piazziamo le nostre bag in un tavolo del Convivium, il seminterrato davanti alla serra, e ci avviamo a consumare il nostro desco. Parlando con lo staff scopriamo con terrore che il Convivium è riservato a coloro che fanno lo scenario digitale: per quello fisico c'è la Serra. Noi, da bravi ragazzi ligi e rispettosi delle regole, ce ne freghiamo e rimaniamo lì. Viva la revolucion!
I concetti li abbiamo assimilati, pronti a buttare giù le idee. Pian piano comincia a formarsi quello che sarà il nostro apporto all'hackathon: si tratta di un'esperienza completa all'interno dello store, dall'engagement fino al follow-up post-vendita, prendendo la mano al potenziale acquirente e guidandolo verso la scelta migliore per loro. Parliamo con lo staff di Luxottica: loro puntano sul sensibilizzare il cliente verso prodotti qualitativamente più alti, per esempio scegliendo delle lenti più di nicchia.
Il percorso comincia appena all'interno dello store: il cliente, nel caso della indisponibilità degli store manager, i clienti vengono accolti da schermi interattivi con Leonardo, un bot che li guida verso la scelta migliore per loro. Una volta selezionato l'occhiale da provare viene assegnato un colore personale, che illumina lo scaffale che interessa al cliente.
La seconda fase è pura figata: si pigliano gli occhiali e ci si appropinqua al camerino, cosa inusuale per uno store di ottica. Non si tratta però di un camerino qualunque, ma di una vera e propria esperienza che con schermi, luci solari, nebulizzatori e altre figate permette di vivere l'occhiale confrontandosi con condizioni realistiche, in modo da apprezzare la montatura o la lente selezionata.
Dopo aver molestato per qualche ora lo staff di Luxottica identifichiamo cosa fare e cosa no, e ci piazziamo davanti ai rispettivi schermi. Chi fa la presentazione, chi fa il video demo, chi cazzeggia (vedi il sottoscritto).
Fino all'una tutto bene: abbiamo cibo, Red Bull, sigarette e birra. Ci vengono ad annunciare che di lì a poco sarebbero cominciati i contest notturni, divisi per tre categorie: Business, Designer e Developer.
Ovviamente sono minchiate
Le prime volte i contest erano qualcosa di vagamente di competenza rispetto alla propria categoria, per esempio i businessmen dovevano indovinare la società dalla sigla azionaria. Cioè, borderline ma ci sta. Quest'anno è un quiz, uno stupido quiz di cultura generale. Quello dei designer è di prototipare un occhiale con gli oggetti che si trovano in Serra. Gli sviluppatori devono riconoscere il linguaggio in base all'Hello World.
Ma che, mi pigli per i fondelli?
Anche la portata dei premi è calata: il premio di quest'anno è lo zaino brandizzato H-Farm, gli anni scorsi erano tablet, cuffie high-end e altro materiale vagamente tecnologico. Ma tralasciamo, l'importante è partecipare.
Infine decidiamo di non sviluppare nulla data la complessità del progetto, quindi io ed Andrea, i developer, ci concentriamo sulla presentazione e la ricerca. A quest'ora abbiamo già completato la scaletta e il primo giro di materiale dentro le slides: sono fruibili, però non sono particolarmente eleganti; chiamiamole vaporwave.
All'improvviso entrano le due ragazze dell'HR di Luxottica con un annuncio che abbassa la temperatura della sala di una decina di gradi: due team avrebbero dovuto presentare immediatamente in quanto il tempo a disposizione il giorno successivo non sarebbe stato sufficiente.
Con uno sguardo veloce decidiamo di offrirci volontari: essere i primi a presentare è un gran vantaggio, e chiediamo gentilmente una decina di minuti per buttare giù le ultime due diapositive.
Altro momento di attonito silezio, da parte loro questa volta. Non se l'aspettavano, i loro occhi cercano una via di fuga. Dopo qualche secondo, con una vocina tremolante una dice queste testuali parole: "Era tutto uno scherzo ragazzi, volevamo vedere se eravate ancora svegli".
Slow clap
A questo punto l'unica cosa che resta da fare per loro è battere in una precipitosa ritirata, in quanto due dozzine di ragazzi che lavorano per loro già da più di dieci ore sta augurando loro le peggio cose.
La simpatia, quella bella, tipo quella di Colorado.
Le slides sono finite, graficate, il video è praticamente completato, la scaletta del discorso è già pronta: ci concediamo un po' di meritato riposo, due o tre ore, pronti per il rush finale e le prove.
Ci comunicano che avremo quattro minuti a testa per esporre il nostro concept: un tempo un po' più lungo del classico elevator pitch, ma comunque troppo breve per far assimilare ai giudici il perché e il per come della nostra idea. Il povero Giovanni ripete il discorso per penso una quarantina di volte, ma ritoccandolo riesce a farlo entrare all'interno dei quattro famigerati minuti.
I team vegono divisi in due: la prima metà esporrà in Serra, l'altra nell'auditorium dove erano stati tenuti i discorsi iniziali. Noi siamo laggiù. Riceviamo la lista dell'ordine dei pitch: abbiamo undici team davanti e sedici dietro, quindi 28 team in tutto, moltiplichiamo per quattro minuti a testa, aggiungiamo per ognuno altri tre minuti per il setup della presentazione: troppo tempo da passare seduti.
Passano i primi undici team; tocca a noi. Giovanni è sul palco a presentare, a me invece mandano in regia col suo Mac per gestire le emergenze per le slides. Comincia ad esporre: parla chiaramente, la voce non dà segni di flessione nonostante le poche ore di sonno. Anche le slides vanno a meraviglia.
Almeno fino al video.
Il video non parte: ottimo, l'unico modo che abbiamo per simulare l'esperienza è fuori uso. Il ragazzo alla regia mi dice di spostare il puntatore che altrimenti viene proiettato. Prontamente lo sposto in basso a destra: non l'avessi mai fatto.
Il coso va in standby, senza nessun motivo apparente: la batteria è carica, non ho premuto nessun tasto strano e lo schermo funzionava alla perfezione fino a qualche secondo prima. Poi un pensiero mi balza in testa.
Gli angoli attivi
Che tu sia maledetto tu, designer Apple, che hai creato gli angoli attivi: ti conosco, tu e la tua cricca di hipster laureati avete un accordo segreto con le case farmaceutiche per tutte la bile che avete prodotto per aver creato gli angoli attivi.
E nel mentre che lancio sortilegi ed anatemi contro questi loschi individui il presentatore ha già fermato la presentazione, comunicando che avremmo potuto riprovare al termine degli altri team.
Fortunatamente la seconda volta va bene, anche se i giudici sono decisamente poco responsivi. Un po' li compatisco: sentire venti idee su ventotto identiche può risultare leggermente noioso.
Giusto per allungare i tempi decidono di annunciare prima gli otto finalisti, e poi il podio. Piano piano sfilano sull'enorme schermo proiettato i nomi dei team che hanno accesso alla finale: il nostro non è presente.
Game over.
Ma non importa, la vita va così: a volte spacchi il mondo, altre il mondo spacca te. La tensione delle premiazioni sfuma in un secondo, ci rilassiamo e aspettiamo il podio.
Non rammento chi si è piazzato al terzo e al secondo posto, probabilmente neanche ascoltavo. Sono rimasto attonito invece nel sentire il vincitore: si trattava di un semplice bot su Messenger che guidava l'utilizzatore verso la scelta dell'occhiale più adatto a lui. La presentazione era smozzicata e la demo aveva due terzi del contenuto hardcoded.
Insomma, un progetto che rientrava a fatica nel brief iniziale, con un potenziale pubblico molto basso (ovviamente non è stato specificato che per usare il bot era necessario avere un account Facebook) e che non aveva niente a che fare con la famiglia tanto calcata durante il pitch iniziale.
Ma non ce l'ho con i ragazzi che hanno creato il progetto, anzi complimenti per aver realizzato un progetto del genere, beccando in centro il pitch.
Io ce l'ho con Luxottica, un'azienda che ha mentito a 400 persone, dicendo che il loro scopo era creare un percorso che portava il cliente dall'engagement fino al follow-up post- vendita, facendolo sentire un membro della loro grande famiglia.
Bella retorica, tutto figo. Peccato che non fosse questo ciò che veramente volevano.
Già dai finalisti c'era qualcosa che puzzava: avevano scartato le idee più innovative e fuori dal coro (la nostra, un punto per la "custodia" dei bambini durante lo shopping, creazione di piani a pagamento mensile) per favorire le idee più semplici. Ma non il tipo di semplicità che rende unica un'idea: semplicità intesa come facile da realizzare, a basso costo e che genera profitto nel minor tempo possibile.
A loro interessava fare profiling, raccogliere più dati possibili dei clienti (nel caso del bot tramite Facebook) per poi riutilizzarli internamente per analisi di mercato e pubblicità ad- personam. Ma perché non dire subito che volevate questo tipo di materiale?
Ci offrono l'ultimo pranzo, l'ennesimo panino. Ci ritroviamo in gruppo, a tirare le somme di quei due giorni: in fondo non è andata così male, il nostro lavoro l'abbiamo concluso egregiamente, abbiamo realizzato che è un team che funziona e che in futuro si tornerà sicuramente all'attacco. Ci dirigiamo verso le vetture, carichiamo la roba e partiamo per la via di casa, con alla radio una stupenda canzone.