È un giorno assolato, uno come tanti altri nella costa ovest, ma tutto il laboratorio è in subbuglio. Anzi, non è proprio subbuglio, è invece il contrario: gli assistenti non stanno sfrecciando da un armadio all’altro per cercare qualche reagente, nessuno sta controllando i vari alambicchi, i computer sono spenti. Sono tutti riuniti in un silenzio pesante attorno ad un tavolo da laboratorio, coperto da piastrelle bianche, completamente svuotato. Al centro del tavolo è appoggiato un macchinario piuttosto anonimo: sembra una radiosveglia, non diversa da quelle appoggiate sopra i comodini di metà dei cittadini del mondo, l’unica differenza è che al centro della scatola metallica grigiastra spunta un lungo ago.
“Quindi stai dicendo che questo orologio può prevedere esattamente l’attimo della tua morte?” chiede uno dei ricercatori più anziani con voce titubante.
“Esattamente così, ho avuto modo di testarlo con dei malati terminali che si sono offerti volontari. Al momento ha un errore relativo di cinque secondi, ma sto già lavorando per migliorarlo” risponde l’uomo più vicino alla macchina, più giovane degli altri, forse sui trent’anni.
“Capisco, capisco. Certo, un grande traguardo per la scienza, magari non avrà un’applicazione immediata. Posso sapere come funziona?” gli chiede il vecchio scienziato.
Il giovane si prende un secondo per raccogliere le idee e con sguardo fiero risponde: “Il filo di ragionamento teorico è piuttosto semplice: grazie alla nuova generazione di processori positronici si riesce a simulare a livello quantistico prima l’intero organismo della persona sottoposta al test, poi alla stessa maniera vengono proiettate nel futuro simulazioni degli intorni del suo futuro, fino a che nessuna condizione viene risolta: quello è il momento della morte del soggetto.”
“Alla stessa maniera non si potrebbe simulare un passato o un futuro generico?” chiede un’assistente sbucando dalla seconda fila.
“Purtroppo no, la quantità dei dati che i processori possono elaborare al giorno d’oggi rimane relativamente limitata rispetto ad un generico passato o futuro, anche aggiungendo ulteriori condizioni iniziali” risponde il giovane sicuro.
C’è un momento di silenzio, nessuno vuole rischiare di porre quella fatidica domanda. Passa qualche minuto di silenzio inquieto, finché il vecchio chiede: “Ha mai sbagliato finora?”
“Dopo un anno e 372 persone di test ha sbagliato una sola volta” risponde il giovane, “Ma era un piccolo problema del software che ho risolto poco dopo, poi non ha mai sbagliato.”
“Capisco”, risponde il vecchio scienziato, “l’ampiezza del test non dà adito ad errori. Ora cosa ci vuoi fare con questo marchingegno?”
Il giovane ricercatore si accarezza il mento per pensare, poi risponde: “Ci ho pensato per un po’ effettivamente. Forse comincerò a pensare alla produzione in scala, magari come servizio a pagamento, in modo da raccogliere fondi per espandere il concetto di simulazione positronica.”
“Ma questo non porterebbe le persone ad assumere comportamenti sbagliati?” risponde allarmato il vecchio.
“Cosa intendi con comportamenti sbagliati?”
“Sicuramente degli utenti potrebbero fare cose sconsiderate per dimostrare che l’orologio ha sbagliato. Oppure al contrario: potrebbero tentare gesti folli sapendo che l’ora della propria morte è ancora distante.” risponde il vecchio alzando di un tono la voce.
“Certo che ci ho pensato, per molto tempo” risponde il giovane, quasi con disprezzo. “Però questa è la scienza: pensi che i nostri colleghi che fanno ricerche su armi biologiche si pongano così tanti problemi? Il progresso umano è sempre stato fermato dall’etica: gli organismi geneticamente modificati, le clonazioni, gli impianti biotecnici. Per anni e anni sono state portate avanti battaglie su innovazioni che avrebbero portato il progresso umano avanti di secoli, se non millenni. Purtroppo siamo costretti ad accantonare il senso umano che istintivamente proviamo per un fine superiore, e, a mio avviso, la specie umana ha già perso troppo tempo per colpa dell’etica.”
Il vecchio, ricevuta una risposta così dura, non se la sente di controbattere. Passano un’altro paio di minuti, mentre il giovane osserva le facce dei colleghi, aspettando qualche domanda. Alla fine prende di nuovo la parola: “Quindi, c’è qualcuno tra di voi che vuole provare l’orologio?”
Un brivido percorre la stanza: tutti quanti fanno un passo indietro dal tavolo, come se stesse per scoppiare da un momento all’altro. Stanno perfino trattenendo il respiro, aspettando che qualcuno prendesse l’iniziativa. Passa qualche secondo e il giovane continua ridacchiando: “Nessuno di voi è abbastanza coraggioso? Vuol dire che toccherà a me, vedremo se vi convincerete.”
Con un dito tocca l’ago sopra la scatola, che penetra nella pelle morbida del polpastrello. Dopo qualche secondo lo ritira e una piccola goccia scarlatta si forma sopra la ferita, subito tamponata con un pezzettino di cotone. La macchina si mette in moto con un lieve ronzio: sullo schermo, rivolto dalla parte opposta del giovane, compare una clessidra, che gira e gira. Il tempo sembra essersi fermato, e quei pochi minuti l’orologio si prende per elaborare i dati paiono ore. All’improvviso il ronzio si ferma e la clessidra scompare, prima di far vedere la data della morte del giovane.
Una serie di occhi sbarrati fissano la data. Le loro reazioni sono varie: chi era sconcertato, altri invece sono scettici, ma in tutti si può notare un tocco di terrore. Il giovane sta analizzando le loro reazioni, stranito dall’effetto dell’esperimento. Dopo aver passato in rassegna le varie facce, con una mano volta verso di sé lo schermo dell’orologio. Il suo cuore salta un battito, la data è quella notte stessa. Dopo aver superato lo shock del momento, dice cercando di sembrare sicuro: “Immaginavo potesse succedere questo, le simulazioni sono ancora in parte da calibrare, ci dovrò lavorare ancora qualche settimana perché sia effettivamente pronto”. Con un movimento rapido stacca la spina dall’orologio e se lo porta sottobraccio, spostandosi verso la sua postazione di lavoro.
Nessuno si muove dal tavolo, si lanciano l’un l’altro degli sguardi preoccupati, ma nessuno vuole parlarne. Li salvò la sirena fuori dalla porta, quella che segna la fine della giornata: si scatena un fuggi fuggi generale, assistenti e ricercatori che afferrano le proprie cose alla svelta e scappano dalla stanza biascicando qualche saluto. Tutti fuggono, tutti tranne il vecchio scienziato, che prima controlla che stesse facendo il giovane, poi si siede al suo computer per scrivere una lunga e-mail.
Il giorno successivo il vecchio ricercatore entra in laboratorio e vede che il resto del team di ricerca è ammassato attorno allo stesso tavolo del giorno precedente. Si fa spazio spintonando per arrivare davanti: sopra il tavolo sono posati l’orologio ed il giornale della mattina. Subito gli sale un terribile sospetto: alza la testa per cercare gli occhi del giovane, ma invano. Non è tra i presenti.
Prende in mano il giornale e legge la notizia in prima pagina: “Giovane promessa della scienza trovato morto in casa.”
Gli manca il terreno sotto i piedi, ma continua a leggere: “Il giovane ricercatore, già conosciuto nell’ambiente per le sue scoperte in materia di simulazioni quantistiche, è stato trovato morto in casa, colpito da un proiettile alla tempia. È stata trovata l’arma del delitto, una pistola per autodifesa, ma il soggetto non ha mai posseduto armi registrate. Al momento la polizia sta seguendo sia la pista del suicidio, sia quella dell’omicidio.”
Non può leggere altro, l’unico pensiero che sta affollando la sua testa era uno solo: l’orologio non aveva sbagliato. E ora c’è soltanto una cosa da fare.
Prende l’orologio e lo pose dentro un grosso scatolone, poi sposta il tutto verso la scrivania del giovane scienziato e riversa l’intero contenuto del leggero banco di legno all’interno della scatola. Riesce ad alzarla con fatica, ma pian piano la appoggia sul piano del grosso inceneritore del laboratorio. Abbassa la cappa protettiva, poi preme un pulsante. Mentre le fiamme lambiscono la carta e l’orologio si rivolge al team: “L’uomo non è pronto a questo tipo di tecnologia. Ci è sempre stato negato di giocare col tempo, e per un motivo ben preciso. Ricordatevi di lui come un grande studioso e una grande persona, ma non ripetete i suoi errori. E ora, tornate al lavoro”.