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La linea sottile

A volte non è facile distinguere tra un'utopia ed un incubo

Se c'è una cosa della quale vado veramente fiero (e spesso me ne vanto anche) è che ho letto tanto, soprattutto durante il periodo delle scuole medie e superiori. Dedicavo ogni sera un paio d'ore a macinare pagine su pagine per immergermi in un mondo che ormai non esisteva più, o che non sarebbe mai esistito. Uno dei primi libri che ricordo di aver letto era della casa editrice Il Battello a Vapore, si intitolava Harry e la banda delle decrepite, un libro per ragazzi facile da leggere e scanzonato. Il primo romanzo lo lessi a tredici anni, fu Le Gazze Ladre di Ken Follett, e fu la mia epifania: fu il momento nel quale abbandonai i libri per ragazzi e passai ai romanzi.

Col tempo mi mangiai tutti i libri di Ken Follett (menzione d'onore a I pilastri della terra, che ancora oggi rileggo ogni tanto) per poi passare a Wilbur Smith: le avvenure marittime dei Courtney e le storie dello scriba Taita mi portavano lontano, in mondi irraggiungibili se non attraverso l'immaginazione. Era pura magia, c'era come una morsa che mi teneva attaccato alle pagine, con la voglia di leggerne sempre una in più per scoprire come sarebbe finita una vicenda, ben sapendo che si sarebbe chiusa con l'ultima pagina.

Continuai con il filone di romanzo storico d'avventura per molto tempo con qualche eccezione: non potevano mancare Dan Brown e Tolkien nella mia libreria. Il Signore degli Anelli nello specifico fu il primo libro fantasy che lessi, ma mi aprì un mondo: fui totalmente assorbito in una spirale di leggende, magie e guerrieri, culti maligni e creature demoniache che hanno influenzato non poco la mia concezione di mondo fantastico, grazie anche a videogame come World of Warcraft, la mia ultima scoperta dell'epoca. Più recentemente questo filone è stato ulteriormente alimentato dalle immancabili Cronache G.R.R Martin. In quel periodo lessi anche penso l'unico horror della mia vita (e anche l'unico che leggerò), si trattava della raccolta dei racconti di H.P. Lovecraft, autore che ci ha regalato la leggenda ci Cthulhu e lasciato una cicatrice indelebile nell'immaginario comune.

Ebbi anch'io il periodo dei grandi classici come Il giovane Holden, Gente di Dublino e La metamorfosi, coadivuati da opere italiane come I Malavoglia, La coscienza di Zeno e Marcovaldo, per poi passare al genere che tutt'oggi mi trattiene: la fantascienza.

Isaac Asimov fa da padrone nel settore: proprio la sua serie di racconti Tutti i miei robot mi ha fatto entrare in questo fantastico mondo con temi sempre nuovi ed assolutamente non scontati. Quando un robot può ritenersi vivo? Leggete L'uomo bicentenario e dopo aver pianto fiumi di lacrime lo scoprirete. Dello stesso genere non si può lasciare fuori Philip K. Dick, che con il suo Ma gli androidi sognano pecore elettriche? (sì lo so, dal titolo pare una baggianata) ha donato al mondo le basi per uno dei migliori film mai realizzati, Blade Runner, anche se c'è da dire che sono profondamente diversi, sia nella forma che nel concetto. Il film infatti è più azione e pericolo, mentre il libro si concentra più sul lato sentimentale e umano. Ad honorem in questa categoria va inserito Douglas e il suo ciclo Guida Intergalattica per gli Autostoppisti, scanzonato e divertente, da cui è stato ricavato anche un ottimo film con Martin Freeman come protagonista.

In tutto questo panorama letterario c'è un filone che procede trasversalmente al tempo e ai generi, ossia il romanzo distopico. Ho volutamente lasciato indietro uno dei grandi classici che negli ultimi tempi è diventato più attuale che mai, ossia 1984, di George Orwell. Fu il primo romanzo distopico che lessi e da lì non mi fermai più: di fila lessi Fahrenheit 451 di Bradbury, Il signore delle mosche di Golding e Il mondo nuovo di Huxley.

Proprio quest'ultimo è quello che mi ha colpito più a fondo: Aldous Huxley fu un personaggio a dir poco eccentrico, quasi senza vista per una malattia; fu insegnante di George Orwell e percorse a lungo le strade delle droghe sintetiche, soprattutto della mescalina. Scrisse saggi sull'argomento che divennero popolari tra gli hippie e uno di questi, Le porte della percezione, ispirò il nome ad uno dei gruppi rock più famosi di tutti i tempi, i Doors. Era un figlio d'arte: anche il padre era uno scrittore, e questo ed altri fattori (la passione per il misticismo, il condizionamento umano dato dalle droghe, l'avvento delle terribili tecnologie della guerra) lo portarono a esplorare a fondo il tema della distopia.

Rispetto al suo allievo Orwell, per esempio, pone gli abitanti del suo mondo immaginario in un piano diverso: mentre in 1984 l'atmosfera è fortemente oppressiva, fatta di espedienti, segreti e regole non dette, la società di Huxley è aperta, dinamica e soprattutto felice del suo stato. L'eugenetica e l'indottrinamento mentale sono pratiche che sono state largamente accettate e sono ritenute fondamentali per non rompere gli equilibri del nuovo mondo. Perfino il personaggio di Bernardo Marx, psicologo assoldato dal governo per studiare i metodi di condizionamento, pur essendo consapevole di quanto sia illusoria e fragile la felicità della popolazione, abbraccia la bugia.

Uno dei punti salienti del romanzo sta proprio all'inizio: la sessualità nella società è libera ed incoraggiata in quanto valvola di sfogo di rivolte e proteste, ed avviene sempre con dei contraccettivi. La gravidanza viene invece condotta completamente in modo extrauterino, in vere e proprie fabbriche di persone che vengono descritte meticolosamente nella prima parte. Viene raccontato in modo dettagliato come si condizionano gli embrioni con sostanze per suddividerli in quattro classi sociali: alfa, beta, gamma e delta in base al bisogno di individui nella società. Ma la cosa più spaventosa è che viene raccontato come se fossero istruzioni per montare un kit Lego, oppure per aggiustare la catena della bicicletta. È stato tolto all'uomo metà di ciò che lo rende uomo, rendendolo un essere completamente assuefatto dagli stimoli esterni, che sfoga le frustrazioni attraverso la sessualità, predestinato dal primo vagito fino all'ultimo sospiro di morte.

Ma quindi dove finisce l'utopia e dove comincia la distopia? Non è una moneta che si lancia, non c'è un dritto o un rovescio, le situazioni possono coesistere. Per assurdo, la situazione non è dissimile alla fisica quantistica, dove un quanto non ha uno stato alto e basso fisso, ma assume tutte le sfumature intermedie, e il suo valore cambia in base all'osservatore. Per certi cittadini, soprattutto quelli di classe beta e gamma, è un'utopia, nella quale vivono la loro vita seguendo le regole che sono state imposte loro senza domandarsi il perché. Per gli alfa, ad esempio i funzionari governativi, la situazione è un po' a metà, ossia certi si rendono conto di vivere in un mondo distopico, ma per convenienza o paura lo abbracciano senza remore.

Ma come si può mantenere una società distopica? Finché viene percepita come utopia dalla maggior parte della popolazione essa resterà tale. Ogni individuo è contento (o almeno pensa di esserlo) e tutti continueranno a vivere la loro pseudovita fino alla fine dei loro giorni. Nel caso di 1984 invece i cittadini sono ben consapevoli di vivere in un mondo repressivo e controllato, ma non si azzardano a provare a sollevarsi contro un governo ingiusto per una paura instillata dalla feroce e continua propaganda preventiva.

Un tratto in comune della società distopica è l'iconoclastia della storia: viene cancellato ogni archivio storico che parla di come si sia arrivati ad adottare una società del genere: ne Il Mondo Nuovo è rimossa qualsiasi cronaca storica, arrivando al punto di essere disprezzata dalle persone, e viene raccontato di una fantomatica guerra che ha portato alla quasi estinzione del genere umano. In 1984 invece non viene rimpiazzata, ma si parla di tre superpotenze perennemente in guerra tra loro, cosa che non viene mai resa legittima, portando il lettore a pensare che sia anche questa una montatura. In Fahrenheit 451 invece ci sono i pompieri che, invece di spegnere le fiamme, appiccano roghi a libri non autorizzati dal governo, cancellando ogni sorta di memoria scritta nociva alla società che hanno costruito. In poche parole, come viene citato dal partito dell'Oceania in 1984, "chi controlla il passato controlla il futuro: chi controlla il presente controlla il passato".

Negli ultimi anni anche nel cinema si sente pesante l'influenza del romanzo distopico, anche se la maggior parte dei film non sono sceneggiature originali: basti pensare alla saga di Hunger Games, Divergent o V per Vendetta. Una voce fuori dal coro è In Time, film del 2011 con un sorprendente Justin Timberlake nei panni del protagonista, ambientato in un mondo dove la ricchezza e la classe sociale non sono determinati dal denaro, ma dal tempo che rimane da vivere. Il capostipite di tutto il filone è stato però The Matrix, in cui l'uomo vive inconsapevolmente una distopia controllata da macchine che lui stesso ha progettato. Questi automi hanno ritagliato un mondo virtuale per gli uomini, dove possono vivere gli affanni di tutti i giorni prima del tragico secondo Rinascimento, come narra The Animatrix. Si tratta di un'esperienza sensorialmente completa, la cui realtà o aritificiosità è quindi impossibile da stabilire se non conoscendo a fondo il sistema.

Ma situazioni del genere potrebbero manifestarsi nel mondo odierno? Lasciamo in disparte le teorie complottistiche del controllo mentale: qui parlano i fatti dimostrati, non i dubbi. Che buona parte della popolazione mondiale, soprattutto quella attiva digitalmente, sia già catalogata non è un mistero: i dati raccolti servono per portarci a comprare il certo prodotto, oppure a mostrarci il contenuto che vogliamo vedere. Questi dati sono in mano alle grandi company di Internet, mentre il governo possiede soltanto parte di questi estremi. Negli ultimi anni, soprattutto con l'avvento dell'informatizzazione massiva e dei mass media, è sempre più difficile non esistere, restare anonimi a tutti e a tutto. Ma in ogni caso no, non potrà mai esistere una realtà distopica (o utopica), proprio per la natura dell'essere umano: non ci sarà mai soltanto una persona a comandare, ma ci sarà una lotta infinita per quel posto in auto. Non una lotta fatta di determinazione e voglia di mettersi in gioco, ma da invidia, astio ed odio. Il precetto di una realtà utopica invece è che la base dove essa poggia, ossia il governo, sia solida.

Quindi no, non verremo controllati ad ogni ora del giorno, nessuno deciderà il nostro futuro e nessuno stabilità la storia che ci siamo lasciati dietro. Nonostante ogni giorno il confine di privacy personale si stringa sempre di più verso la persona, lasciando scoperte informazioni su noi stessi talmente preziose che le grandi aziende si azzuffano per accaparrarsele. Non concedete metri preziosi, tutelatevi dagli sciacalli delle informazioni e dalle loro razzie, perché i vostri tratti sono ciò che vi rende unici.

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