Un bel giorno del lontano 2006 un giovane chiamato Daniel Ek regalò al mondo la sua idea: Spotify.
Rivoluzionò non poco il mondo della musica, arrivando al milione di utenti paganti nel 2011. Attualmente circa quaranta milioni di persone pagano 13€ mensilmente per ascoltare la loro musica preferita.
Non dico che sia la manna dal cielo, anzi: lo utilizzo da circa quattro anni, a pagamento da uno, e la quantità di pubblicità con il piano free è diventata smodata: ci sono interruzioni ogni paio di brani e gli skip limitati giornalmente. L'unica possibilità di godere di un ascolto continuo è guardare uno spot pubblicitario per avere trenta minuti di tranquillità.
Ovviamente ci sono parecchie alternative sul mercato: Apple Music, TIMmusic, Pandora per gli americani, Google Play Music oppure il classico vecchio YouTube. Io continuo a preferire Spotify a queste piattaforme: grazie ad esso ho potuto scoprire nuovi generi, rispolverare vecchi ricordi, rifinire certi stili. In anni di ascolto ho estrapolato quattro correnti musicali ben distinte che periodicamente ciclano, ognuna di esse profondamente legata a periodi della mia vita.
Ho ascoltato e ascolto attualmente ore di musica elettronica, pur variando il mood: Moderat, Tycho, Board of Canada e Jon Hopkins accompagnano gran parte delle mie giornate. Un sound tranquillo, disteso e rilassato, per dare un buon flow al lavoro. Un suono morbido e continuo accompagna un giro di batteria in sordina, quasi avesse il timore di rovinare l'armonia del suono.
Se invece serve grinta si passa alla tech house: Mathew Jonson, Paul Kalkbrenner, Mano Le Tough, Recondite, DJ Koze. È un genere piuttosto accessibile per i nuovi artisti, quindi esiste una base sonora molto ampia. Quello che cerco in musicisti che seguono questo genere è l'unicità: ognuno dei producer elencati sopra ha un suo segno particolare, quello che ti fa riconoscere un suo brano ad orecchio, anche senza averlo mai sentito.
In casi disperati si salta lo step intermedio e il registro cambia drasticamente: ritmo serrato, percussioni violente e suoni distorti: questo è il genere techno. Dax J, Ansome, Fokus Group, c'è un intero sottobosco di artisti che alimentano questa corrente. In questa categoria sono particolarmente affezionato ai i live set, dove l'artista non si limita a mixare le varie traccie, ma crea qualcosa di nuovo partendo da suoni di base; ammiro genuinamente coloro che riescono con successo in questo intento, perché dedicano ore e ore alla scelta dei suoni, alla creazione del loro setup e alla conoscenza dei limiti dell'hardware che hanno a disposizione.
Al di sopra dei generi c'è l'elettronica sperimentale, un genere che mi sta particolarmente caro: artisti come Andy Stott (purtroppo non disponibile su Spotify), Dasha Rush e SHXCXCHCXSH hanno fatto della ricerca del sound la loro missione, offrendo una musica sempre nuova ed inaspettata. Utilizzano tecniche e strumentazioni non convenzionali, ignorando senza timore la qualità del suono per poter offrire un brano che tranforma in una onda sonora un loro sentimento o sensazione.
Sinceramente non so perché mi piaccia questo genere di musica: per tanti è una musica ripetitiva e assonante, non è così immediatamente orecchiabile come il pop. Probabilmente è l'ordine che ci sta sotto: tutti i suoni utilizzati sono riconducibili a precise formule matematiche, studiate nei minimi dettagli per comprimere l'aria attraverso la vibrazione di un elettromagnete e creare suoni che giungono alle nostre orecchie. Ha quasi dell'incredibile l'idea che ogni strumento musicale, ogni suono possa essere sintetizzato con un buon margine di approssimazione da una serie di componenti elettronici, oppure da una manciata di righe di codice.
Ritornando al discorso della fruibilità, la musica elettronica attualmente ha un grosso problema. Spesso a questi generi sono collegate cattive abitudini e vizi, droga e alcool in primis, e non posso certo dargli torto: ho visto gente in certe situazioni degradanti, e ogni volta ne rimango particolarmente risentito, perché a causa di vizi di pochi si affossa un'intera categoria di appassionati e di persone che vivono per la musica, e non per gli sballi a cui viene stereotipata.
Fortunatamente stanno spuntando vari circoli locali che portano avanti la bandiera della musica techno. Questi piccoli club ignorano gli artisti mainstram, dando la precedenza a veri musicisti indie, che più che il guadagno cercano un modo per esporre la loro passione ad un pubblico adatto a recepirla.
Questo è stato il primo vero genere musicale a cui mi sono appassionato seriamente. Ho cominciato da tredicienne, ricordo bene come: furono presone a me care ad influenzarmi e, per quanto distanti siano dalla mia vita al momento, hanno portato un contributo fondamentale ad essa.
Il primo gruppo che veramente seguii da vicino furono gli Alter Bridge, dei ragazzi statunitensi. Ascoltai i loro album allo sfinimento, anche se in verità non me ne sono mai stancato. Li scoprii da una canzone trovata in una qualche compilation recuperata chissà dove. La voce di Myles Kennedy accompagnava i giornalieri tragitti in autobus da casa a scuola, quaranta lunghi minuti passati appeso al mio vecchio iPod Nano verde acido.
Dopo aver esaurito ogni singola nota cominciai a guardarmi intorno per espandere gli orizzonti. In quel periodo scoprii il mito dei bastioni del metal, ossia Iron Maiden, Metallica, Megadeth, ma più di tutti quello che mi restò più a cuore fu Ozzy Osbourne, sia con i Black Sabbath che come solista: grazie alla sua musica ebbi una visione più chiara di come il genere rock si sia evoluto negli anni e di quanto possano variare le interpretazioni dei vari artisti. Mi interessai alla sua storia, della leggenda del morso al pipistrello all'amicizia con i Motley Crue, alla tragedia di Randy Rhoads.
Oltre al gruppo in sé vagavo anche nel circondario musicale, spaziando dagli Anni '60 fino ai primi anni 2000. Proprio tra questi ho scoperto un nuovo gruppo: i Rage Against the Machine. Ci furono molte variabili che mi fecero innamorare: il sound non convenzionale, la forte presenza di una presa di posizione a livello politico, un cantato rap che usciva completamente dal rock asoltato finora. Oltre a questo c'era la leggendaria abilità di Tom Morello: forse non sarà il chitarrista più veloce o più preciso di sempre, ma era sempre pronto a sperimentare, a cambiare le regole del gioco. Aveva uno stile sporco, anticonvenzionale, ma che si integrava alla perfezione con il complesso sonoro dei R.A.T.M.
Prima di essere cantanti erano sopratutto attivisti di estrema sinistra: denunciavano il marcio di un'America capitalista e senza pietà, condannavano la guerra, la politica estera statunitense e manifestavano contro il capitalismo e la globalizzazione. L'apoteosi della loro idea la manifestarono con lo storico concerto abusivo a Wall Street: un giorno di gennaio dell'anno 2000 si presentarono a Wall Street con gli strumenti in mano e accompagnati dal regista Michael Moore e altri trecento fan. Inutile dire che ci furono disordini con la polizia, ma il loro scopo era stato raggunto: lanciare un messaggio. Montarono sequenze della giornata nel video di "Sleep Now in the Fire", che presto si diffuse a macchia d'olio.
Fui genuinamente dispiaciuto quando appresi della loro separazione, però appresi che dalle loro ceneri nacquero gli Audioslave: Zack de la Rocha si staccò dal gruppo originale a causa di divergenze idealistiche, e venne integrato Chris Cornell, ex Soundgarden.
Il suono e le tematiche tra i R.A.T.M. e gli Audioslave sono profondamente diversi, però lo stile ritrovato di Morello e la calda voce di Cornell rendono più che godibile l'ascolto.
In parallelo all'ammirazione dell'abilità nell'impugnare una chitarra, o le bacchette della batteria, o nel cantare, c'è la maestria nel suonare uno strumento tradizionale, sia esso un violino, un clarinetto, ma sopratutto un pianoforte.
Rimpiangerò sempre la mia scelta di non aver voluto imparare a suonare uno strumento: poter passare dal lato del creatore al posto di restare per sempre un fruitore è un'esperienza eccezionale, entrare nel processo mentale dell'imparare ed interpretare un brano è qualcosa che mi da la carica, e mi sono chiuso la porta da solo.
Anche nella musica classica ci sono molti generi, però un posto speciale è occupato dalle messe da Requiem. La grandezza dell'orchestra e le voci solenni sono qualcosa che già in cuffia fanno rabbrividire, non immagino ascoltate dal vivo. La "Tuba mirum" della messa da Requiem di Verdi è sul gradino più alto del podio: un'introduzione esplosiva, una scalata e una repentina discesa di toni, il timpano che scandisce il tempo in maniera violenta, per planare poi verso un intermezzo moderato, che fa risaltare l'energica prima parte, il tutto poi per salire nuovamente verso un finale intenso come la partenza.
Sebbene siano della stessa famiglia ci sono brani profondamente diversi, ma di uguale bellezza: la delicatezza delle note della trilogia delle Gymnopédies di Erik Satie mi trasporta ogni volta verso luoghi pacifici, cullandomi con la loro grazia. Forse è proprio questo che mi piace di certi brani: la semplicità di una serie di note grezze che crea una melodia leggera che rimane in testa, una serie di accordi che staccano la mente da qualsiasi elemento estraneo.
Lo so, non è esattamente un genere, ma il vecchio Faber merita una categoria a parte. Come per la musica classica, me ne innamorai ai tempi delle scuole medie, dove un professore spiegò la sottile poesia che è la morale de "Il pescatore". Conoscevo un'altra celebre canzone di de André, "La guerra di Piero", che è una chiara denuncia alla guerra, tuttavia ero ancora immaturo ed ignorante sulle ideologie del Faber.
Fu anni dopo, quanto scoprii brani come "Don Raffaè", "Il Testamento di Tito" e "La Città Vecchia" che mi resi veramente conto di quanto fosse una persona decisa e senza peli sulla lingua, con nessun timore di dire la sua: denunciò la guerra, lo Stato, il clero e i pregiudizi, trasformò in poesia e musica interi movimenti politici dell'Italia degli Anni '60. Non che questo gli causò pochi problemi: venne duramente contestato, spiato dai servizi segreti e perfino rapito nel 1979 per ben quattro mesi, rilasciato poi dopo il pagamento di un riscatto. Anche in questo strano caso Fabrizio ha voluto dire la sua, chiedendo il perdono per i suoi carcerieri ma non per i loro mandanti, in quanto da lui considerati borghesi.
In accordo o in disaccordo con le sue idee, le sue opere sono di una rara bellezza: la voce grave e pulita è accompagnata da ballate eseguite magistralmente. De André ci lascia in dono brani di immediata comprensione, versi che si scolpiscono nella memoria, destinati a restare per sempre.
C'è infine un'ultima categoria che comprende un po' tutto: le colonne sonore. Siano esse orchestrali, puramente rock o elettroniche non importa: comunque le adoro, pur non essendo un cinefilo.
Oltre a quelle dell'ormai immortale John Williams (Star Wars, Indiana Jones, lo Squalo e molte altre) adoro Hans Zimmer (Il Gladiatore, I Pirati dei Caraibi e buona parte dei film di Nolan), Ramin Djawadi (Game of Thrones, Westworld, Iron Man e Warcraft) e Nobuo Ouematsu (compositore di tutte le musiche dei vari Final Fantasy).
Oltre a questi ci sono una serie di brani singoli, per esempio il Sestetto dell'Atlante delle Nuvole di
La mia preferita, tuttavia, resterà sempre una: la colonna sonora di Interstellar, composta dal sopraccitato Hans Zimmer: è un album che varia profondamente nel suo corso, alternando brani quasi ambiental, con suoni della Terra e lunghe note morbide, a parti di un'espressività così definita e forte che quasi ruba la scena alla parte visuale. L'organo si fa largo prepotentemente attraverso il panorama sonoro in Coward, proiettando lo spettatore all'interno della scena e creando un senso di urgenza che tanto accompagnava in nostro caro Cooper.
Nella versione Blu-Ray di questo film è disponibile un mini documentario intitolato "The Cosmic Sounds Of Interstellar", che parla di come Zimmer ha composto le musiche e che strumenti e metodi ha utilizzato.
Non sembra molto, o almeno a me non sembra molto. Però sì, questo è il mio intero landscape musicale. Non posso sostenere che sia completo, perché in fondo punterò sempre verso nuovi orizzonti. Ancora una volta rimpiango la stupida scelta di non aver imparato a suonare nessuno strumento, perché in fondo so che sarebbe stato il punto di svolta per avere una cultura musicale degna di nota. In ogni caso mai darsi per vinti: non è ancora troppo tardi per imparare. Adesso bando alle ciance però, ho un'asta su eBay di un pianoforte ad un prezzo veramente eccezionale...