Non ho mai amato l'animazione giapponese, non riesco proprio a farmela piacere. La trovo troppo lenta e troppo troppo introspettiva, a volte i protagonisti si perdono in dialoghi interiori che Leopardi a confronto è un dilettante. Nella mia vita ho visto pochissime opere, tra le quali "Il castello errante di Howl", "Trigun" e parte di "Attack on Titan". Oltre a questi in televisione alcune puntate sparse di "Lupin III" (e dei film veramente eccellenti) e qualche altro anime che non mi ha proprio preso. E no, non mi piace "Dragon Ball", e nemmeno "One Piece".
Nonostante i pregiudizi, c'è soltanto una cosa che mi spinge ad iniziare un nuovo anime: i meme. Quando ne vedo troppi senza capirne il senso comincio ad interessarmi soltanto per soddisfare la mia voglia di curiosità. Così iniziai a vedere "Attack on Titan", di cui vidi soltanto la prima stagione su Netflix: venticinque episodi di sforzo a non fanculizzare tutto e rivedere un'altra volta "Bojack Horseman". Tutti i personaggi, senza esclusione, sono di una cupezza estrema, non c'è un accenno di un sorriso, di una battuta, di un attimo di relax. Certo, contribuisce a creare la tensione e la delicatezza della situazione all'interno del Wall Maria, però take it easy ragazzi.
Tutto ciò successe circa un anno e mezzo fa, e lì si concluse la mia avventura giapponese. Un paio di mesi fa, però, decisi di occupare meglio il tempo che passo a procrastinare i miei impegni riempiendolo con una pietra miliare degli anime, di cui ho sentito molto parlare: "Full Metal Alchemist".
Quello che sapevo allora era che i protagonisti sono un ragazzo biondo e un tizio molto grosso in armatura integrale, che evidentemente parla di alchimia e che esistono due serie distinte di anime tratte dal manga originale: la prima, detta "Full Metal Alchemist 2003", è stata creata mentre il manga era ancora in scrittura, quindi dopo un certo numero di episodi la storia prende la sua tangente e si sviluppa autonomamente. La seconda invece, uscita nel 2009, è detta "Full Metal Alchemist: Brotherhood", disegnata alla conclusione del manga, quindi con una storia più vicina a quella originale.
Tentai di capire con l'aiuto della Rete quale fosse la migliore, ma ben presto scoprii che si tratta di una sterile lotta come quella tra Xbox e Playstation, oppure tra Samsung e Apple. Parlando invece con esperti mi fu consigliata la Brotherhood per un "profano" degli anime come me. E così fu, su Netflix iniziai "Full Metal Alchemist: Brotherhood".
Per prima cosa c'è da dire che il manga da cui è tratto rientra a pieno titolo nella categoria shonen, ossia manga per ragazzi, caratterizzati da frequenti combattimenti, parti umoristiche e spiritose, ma soprattutto una costruzione del personaggio principale (quello nel quale lo spettatore si identifica) atta all'apprendimento di valori importanti, come il coraggio, il sacrificio o la compassione. In questo genere troviamo giganti come i sopracitati "Dragon Ball" e "One Piece", ma anche "Attack on Titan" (pur mancando della componente umoristica), "Naruto" e "Hunter X Hunter". Quindi di fronte abbiamo una storia che parla sì di grandi pericoli e forze soprannaturali, però lascia spazio anche a leggerezze e risate.
C'è poi da parlare della tecnica narrativa, ossia la curiosità di andare più a fondo, perché già dalle prime puntate si intuisce che c'è qualcosa di molto marcio nel governo, e soprattutto nel Fuhrer Bradley, e la prospettiva della scoperta è così allettante che fa quasi dimenticare l'obiettivo primo dei fratelli Elric, ossia riavere i propri corpi originali. La stessa tecnica è stata utilizzata per altre opere, tra le quali appunto "Attack on Titan", ma anche produzioni in pellicola come "Westworld" e "Shutter Island", per citarne un paio di eccellenti.
L'ambientazione generale della storia mi è piaciuta parecchio, il periodo storico corrispondente nel nostro mondo è nei dintorni della prima guerra mondiale, dove i calcolatori elettronici ancora non esistevano e tutte le comunicazioni passavano per componenti analogici. Anche le automobili ricordano le auto dell'epoca, per esempio la Ford Model T. In altri campi invece si è proiettati più avanti rispetto al nostro stato attuale, per esempio con le "automail", protesi automatizzate direttamente connesse ai nervi dell'arto amputato, garantendo controllo e prestazioni senza precedenti. Il tutto contribuisce a creare un'ambientazione quasi steampunk, senza esagerazioni che renderebbero il tutto meno realistico.
Ma parliamo della vera chiave di tutto l'anime, la magia: in questo caso si parla di alchimia, un'antica disciplina che unisce chimica, fisica e astronomia. Nell'anime l'alchimia si è sviluppata autonomamente in diversi canali, uno orientale, che nasce in Cina, e uno occidentale, sorto in Egitto e poi tramandato in Grecia, a Roma e nel mondo islamico, da cui ha tratto il nome (al-khīmiyya, letteralmente "la chimica").
Nella storia di "Full Metal Alchemist" è presente in maniera dogmatica il concetto di principio di scambio equivalente, ossia per ottenere una sostanza di un determinato valore bisogna sacrificarne un'altra del medesimo valore. Questo è il punto fisso di tutta la serie, che parte temporalmente dal tentativo dei fratelli Elric di resuscitare la madre morta generando un mostruoso essere deforme (o uno degli omuncoli, nel caso di FMA2003) e causando la perdita del corpo di Alphonse e della gamba di Edward. Sebbene abbiano raccolto correttamente tutte le sostanze che chimicamente sono presenti nel corpo umano mancava ancora la parte dell'anima, raccolta attraverso un sacrificio. Per ovviare a questo problema si può usare una pietra filosofale, una sostanza dal potere quasi infinito, che in ogni caso è creata utilizzando la sostanza più potente del mondo, appunto l'anima umana.
Pur essendo i fratelli Elric i personaggi principali, la storia si estende in storyline differenti, per esempio quella di Roy Mustang, che solo a tratti si ricongiunge con quella degli Elric. Inoltre sono presenti parecchi flashback che approfondiscono i vari personaggi o svelano dettagli decisamente non secondari della storia, partendo dalla fallita trasmutazione degli Elric e arrivando dall'origine del Padre, passando per le atrocità commesse da Marcoh, Mustang e Kimblee a Ishval. In generale segue un buon crescendo , partendo dagli eventi distaccati di Reole (Liore nel doppiaggio inglese), aggiungendo avversari sempre più temibili fino ad affrontare il Padre.
Il primo vero avversario che si incontra (tralasciando Isaac McDougal e Cornello) è Lust, una donna che usa un'alchimia molto potente, che non segue il precetto dello scambio equivalente e che non ha bisogno di cerchio alchemico. Ben presto si conosceranno anche Envy e Gluttony. È chiaro che sono chiamati come i sette vizi capitali, quindi ne mancano quattro. Chi sono Pride, Greed, Wrath e Sloth?
La trama si dipana pian piano, anche se parecchie cose si possono intuire: già dalla prima volta che viene mostrata la mappa di Amestris (la nazione dov'è ambientata gran parte della storia) si può capire che guarda caso la forma e la disposizione delle città principali si possono collegare per formare un perfetto cerchio alchemico di immensa misura, capace di chissà quali trasmutazioni.
Un'altra supposizione che si può fare, sebbene venga successivamente rivelata non vera, è sul villain, chiamato Padre: subito certe clip lasciano pensare che il padre degli Elric, abbandonati da esso in giovane età, stia tramando qualcosa: ribaltare il governo, far scoppiare una guerra, controllare il mondo o chissà cosa. Successivamente, al primo incontro degli Elric con il Padre, nei sotterranei di Central City, viene rivelato che Van Hohenheim (il padre degli Elric) e il Padre non sono la stessa persona. Sono fratelli? Gemelli magari? Un clone?
Non mi ha convinto subito, anzi ero parecchio scettico sugli sviluppi della storia: sembrava una forzatura giusto per il gusto di contraddire lo spettatore (o il lettore, nel caso dei manga). Tutti questi scetticismi sono rimasti stentorei per parecchie puntate, fino a dipanarsi come nuvole di fumo all'episodio 40, che con un lunghissimo flashback rivela la natura di Van Hohenheim, del Padre, del perché siano identici e della misteriosa fine di Xerxes. Clap clap clap.
Come la maggior parte degli shonen che si rispetti l'happy ending è assicurato, altrimenti la morale come si cementifica nelle sinapsi del lettore?
Intanto le ore passarono e arrivarono le fatidiche 14.30, e ovviamente non si comincia puntuali, altrimenti la tensione è troppo poca no?
In ogni caso restano certe parti "oscure", o poco sviluppate, o comunque poco allineate con i personaggi. Ho trovato ideologicamente sbagliata l'azione del dottor Marcoh, proprio negli ultimi istanti della storia, di curare Roy e Havoc rispettivamente dalla cecità e dalla paralisi con l'ultima pietra filosofale rimasta, pur avendo conosciuto in prima persona la tragedia e l'immenso dolore recato ad Ishval per la sua creazione. La pietra è creata dalla cristallizzazione di anime umane, quindi teneva in ostaggio chissà quante persone.
E poi ci sono le parti oscure: chi ha creato il Padre quando era ancora nell'ampolla? Come funziona l'Alkahestry di Xing? Come si disegnano i cerchi alchemici? Come sono nate tutte le guerre che Amestris è costretta a combattere?
Purtroppo un manga, due serie animate e due lungometraggi sono troppo poco materiale: quello è un universo immenso e fantastico. Adorerei più di qualsiasi altra cosa un'espansione, uno spinoff, qualsiasi cosa che dia più contesto.
Nonostante questo, ora devo tornare nel mio ruolo, a sostenere quanto siano noiosi gli anime. Scusate, ma i ruoli sono ruoli.