Quindici mesi di pandemia, di chiusure e di allontanamenti. Sembra sia passata un'eternità. Eppure da qualche parte in casa ci sarà ancora il calendario dell'anno scorso, fermo a febbraio, quando chiudemmo le porte un'ultima volta per molto tempo.
Ma non è tanto la chiusura e la distanza che mi preoccupano: fortunatamente il mio campo di lavoro non ha avuto recessioni in seguito allo stato d'emergenza, anzi: è prosperato con percentuali da capogiro.
L'effetto che più sento sulla mia pelle è il logoramento: a livello personale il 2020 è stato uno dei migliori anni che ho trascorso, punteggiato da successi e sorprese. Il logoramento avviene nelle persone che mi circondano: c'è chi è preoccupato per il lavoro, c'è chi è preoccupato per i propri cari. Lo stress che non si riesce a scaricare si manifesta in problemi di salute vari eventuali, ma c'è anche chi invece canta ancora dal balcone.
I giornali, la TV, Facebook e il resto dei social parlano di una cosa e una soltanto: la pandemia. C'è chi ha grandi speranze, dicendo che ce ne libereremo entro l'anno, c'è invece chi dice che ci vorranno lustri per chiudere questo capitolo. Ci sono i rivoluzionari che minacciano di invadere Montecitorio, ci sono i pragmatici che sostengono di aver sempre seguito le regole, quindi è colpa degli altri.
E poi ci sono io, l'ultimo degli stronzi, seduto davanti ad uno schermo a capire perché nonostante tutto mi senta così stanco.
Ma, a pensarci bene, non sono veramente stanco: muovere un puntatore e battere tasti sulla tastiera non è classificabile come lavoro usurante. E ammetto anche che non sto scrivendo teoremi matematici, non sto dimostrando l'esistenza di universi paralleli, quindi neanche a livello mentale è così impegnativo.
La colpa ricade sulla creatività: la verità è che a fare il mio lavoro non serve chissà quale creatività, o chissà quale bravura: il target a cui sono destinati i nostri giochi sono le persone di cui ho parlato sopra, sia i rivoluzionari che i pragmatici, gli stressati e gli annoiati. Sono persone normali. Non hanno bisogno che la muscolatura del personaggio si deformi in modo anatomicamente perfetto, mantenendo il volume dei muscoli, a loro basta un pupino che sgambetta sullo schermo.
Tutto ciò a cosa porta? Che ci si dimentica com'è fare il mio lavoro sul serio. Come se mettessero un ingegnere aerospaziale a calcolare la velocità dato lo spazio ed il tempo. E dopo anni che esegue ogni giorno, ininterrottamente, questa operazione, lo chiamino per progettare il sistema di posizionamento di un satellite.
Si ritrova spiazzato, con stralci di nozioni acquisite anni prima e mai sfruttate nel mondo reale, ricordi confusi che bisogna prendere in mano una volta ancora. &Eamp; faticoso, per me è estremamente faticoso. Perché l'ingegnere si renderà conto che per anni ha fatto una cosa che non gli serviva per crescere come professionista.
Qualche anno fa Ward Cunningham, il creatore del concetto di wiki, ha coniato una metafora per raccontare le problematiche che insorgono durante lo sviluppo di un progetto, chiamandole “debito tecnico”. Un paradigma di questa metafora parla dei progetti a lungo termine, esponendo che alla fine del progetto ci saranno nuove tecniche e tecnologie più adatte a realizzare quel progetto, rendendolo obsoleto ancora prima che venga completato.
Il ragionamento di Cunningham è diretto principalmente al mondo dello sviluppo del software, tuttavia mi sento enormemente in debito, pur parlando del lato creativo del lavoro.
I motivi dell'accumulo di debito creativo sono molteplici: non ho avuto la fortuna di avere un mentore, qualcuno che mi indicasse la strada più efficiente per arrivare ad un risultato, il pubblico al quale sono diretti i frutti del mio lavoro è estremamente indulgente sulla qualità dello stesso, ricopro uno spettro di ruoli che non mi consente di specializzarmi in uno di questi.
Ma c'è comunque sempre il modo per saldare un debito, anche se parliamo di un debito creativo: nelle ventiquattro ore della giornata, otto sono lavorative, altre otto sono per dormire. Del restante terzo della giornata diciamo che tre ore le prendo per i quotidiani impegni di routine. Restano fuori cinque grasse ore: potrei mettermi a colmare delle lacune?
Certo, ma con che energia? Come l'ingegnere sopracitato, si cade in un circolo vizioso: il lavoro non ti porta soddisfazione, quindi torni a casa creativamente deprivato, non combini nulla per il resto della giornata, ti svegli il giorno successivo con i sensi di colpa per andare nuovamente a lavoro, dove renderai ancora meno del giorno precedente, continuando a camminare sulla ruota senza fine.
Rompere la ruota è dura, un'impresa titanica: per me che ho sempre avuto una forza d'animo quasi inesistente è tosta. Tornare a casa e continuare a lavorare di nuovo, non un momento di pausa, perché il posto di lavoro che sogni da una vita non ti aspetta, anzi cammina anche mentre dormi.
A volte, ormai sempre più rare, torno invece a casa con un eccesso di creatività: magari ho visto qualcosa che mi ha ispirato, oppure ho messo le mani su una nuova tecnologia che può fare grandi cose. La cosa più naturale da fare è cominciare qualcosa di nuovo, di fresco e liberare tutta la creatività che ho dentro.
Sul mio PC personale la cartella dei progetti in corso chiede pietà: i primi inquilini risalgono a due anni fa, quelli più recenti hanno solo qualche giorno. I vecchi puzzano di stantio, i bordi delle cartelle sono logori e impolverati, all'interno progetti che da mesi fanno la muffa, in attesa che qualcuno dia loro le dovute attenzioni. Cominciare un altro progetto equivale a condannarli a morte.
A volte devo tarpare le ali all'iniziativa che mi spinge a creare nuovo materiale, a dare sfogo a sprazzi creativi che bramo di sfruttare. Per fortuna tirare le briglie è un po' più semplice, ma ciò alimenta il debito creativo e non riesco a trovare un equilibrio in tutto ciò.
Questo pezzo non ha una morale, non ha storie da raccontare: è una cronaca di quello che succede tra le mie orecchie, con cadenza quotidiana. Non ha un lieto fine, ma non è certamente un dramma: sono piuttosto certo che, pur essendo l'ultimo degli stronzi, la fila davanti a me sia ben lunga, e secondo le stime presto se ne accoderanno altri.
Il grande punto di domanda che ho in testa è come bilanciare lavoro, passione e svago, che per me sono stranamente coincidenti, anche se ciò non semplifica il dilemma. Fin dal giorno in cui ho buttato giù la mia prima riga di codice è una domanda che mi assilla, alla quale non ho ancora non ha trovato una risposta. Quasi dieci anni di ricerca, di tentativi, di "fanculo mollo tutto", e ancora resta lì. Qualcuno mai è riuscito a risolvere questa equazione? Ma soprattutto, ha senso continuare a cercare una soluzione?