N.d.A.: questo racconto è il finale di un altro racconto che aveva già un finale, libero, ma ce l'aveva. Il racconto era "L'ultimo ultimo giorno", vi raccomando di leggerlo per primo per evitare ovvii spoiler.
I resti del corpo ormai senza vita del campione umano giacevano sulla cima della piramide, solcati da profondi tagli fumanti inferti dalla spada rovente del demone. La pozza di sangue sotto il cadavere si allargava piano, colando dagli scalini di fredda pietra grezza. Un rimbombo profondo scaturì dal portale tra le nubi, come un ruggito di una bestia antica. Uno stormo di demoni minori, creature infernali e altri orrori inimmaginabili si fiondò tra la folla già in preda al panico più oscuro.
Ora non contava più la classe sociale, il proprio prestigio oppure le buone azioni: le lame roventi di centinaia di creature infernali calavano e si levavano senza sosta, temprandosi con il sangue di uomini e donne dallo sguardo disperato e rassegnati alla distruzione. Cosa non aveva funzionato? Il campione non era adatto? Era stato allevato soltanto con lo scopo di arrivare pronto oggi, non aveva ricevuto nessuna influenza esterna capace di sporcare la sua mente candida. Forse non era il tipo di persona che gli dei cercavano, forse volevano qualcuno di più puro od onorevole.
I cadaveri si accasciavano a terra privi di vita, trasformandosi in cenere e disperdendosi al vento quasi subito. L'aria era satura di fuliggine, turbinante di venti caldi che alzavano la polvere nerastra da terra, disperdendo quel che rimaneva dei corpi. Probabilmente il campione non era la persona più adatta a svolgere il suo compito, ma allora come avevano potuto le profezie scegliere proprio lui? Il volere degli dei è imperscrutabile, il loro messaggio era stato consegnato come visione al gran sacerdote, che aveva eseguito alla lettera le loro istruzioni.
Man mano che i demoni avanzavano bruciava la terra: lingue di fuoco serpeggiavano per il terreno, distruggendo ogni vegetale o animale che trovassero sul loro cammino. I corpi già carbonizzati venivano definitivamente dispersi e le piante ridotte in pile fumanti. Persino i grossi ratti bianchi incontrarono la loro morte attraverso quelle creature. Non restava più niente. Ma quindi cosa aveva che non andava il campione? Con ogni probabilità era stato influenzato da qualche fattore esterno. Però non era mai venuto in contatto con nessuno, a meno che la sua purezza non fosse stata manomessa da qualcuno, qualcuno intenzionato a distruggere l'umanità, ben sapendo che sarebbe perito anche lui.
Anche le robuste strutture in pietra colavano come neve al sole sotto la potenza di quel fuoco innaturale, portato da creature immonde. I vecchi templi, una volta ornati da muschi ancestrali, si deformavano e si accasciavano su loro stessi sotto il calore demoniaco, chinando il capo dinanzi ad una forza così soverchiante. Perché qualcuno dovrebbe voler porre fine al proprio popolo e alla propria vita? Cosa l'ha portato ad un gesto così estremo? Non pensava che l'umanità potesse continuare con quella linea, quello probabilmente era il principale motivo.
I demoni continuarono a sferzare il loro inferno sul suolo ormai spoglio di ogni cosa finché non rimase solo una piatta landa desolata, che si perdeva verso l'orizzonte fino al di fuori della portata dell'occhio umano. I fiumi furono prosciugati, foreste ancestrali carbonizzate, persino le montagne vennero spianate: non riuscirono a resistere a quei colpi soprannaturali. Forse era solo una pedina nel crudele piano di qualche dio demoniaco di cattivo umore. Magari aveva deciso di distruggere una civiltà per fare spazio a qualche suo progetto. Per gli dei la durata di una civiltà è comparabile ad un battito di ciglia, e perderne una è come perdere una goccia d'acqua da una piscina.
Non esisteva più la notte, che col suo buio pallido portava sollievo e tranquillità, ma non esisteva neanche più il sole, sostituito da un bagliore rossastro costante e leggermente intermittente, filtrato da un perenne velo di polvere e fumo nero. Il tempo si era fermato in quella landa bruciata e sterile, dove non sarebbe più cresciuto nulla. Quello era il volere degli dei.
Dopo un tempo indefinito, quando la distruzione era ormai stata portata a termine, un boato si levò dall'onnipresente portale tra le nubi: era il richiamo del dio. Tutti i demoni fermarono i loro colpi ferini sulla terra su cui non era rimasto niente da colpire, e librandosi su fragili ali coperte da un sottile strato di pelle, tornarono dal loro padrone.
Passò un tempo che gli uomini avrebbero quantificato con anni, e lentamente la cenere calò e coprì la terra con un manto grigio. Nel cielo il rosso rubino lasciò il posto ad un pallido sole smorto, che non portava calore, ma una luce appena sufficiente. E fu in quel momento che un dio discese in terra sotto forma di splendido quadrupede piumato, elegante e leggiadro, e appoggiandosi al terreno alzò un leggero sbuffo di fuliggine. Ma non si trattava di un dio qualunque: era il loro re, colui che creò tutto, compresi gli altri dei, e che da quel momento avrebbe vigilato su di loro. Da tempo immemore aveva concepito i suoi figli per affidare ad ognuno un aspetto delle infinite dimensioni che aveva creato. Ma come ogni famiglia che si rispetti non tutti stavano alle regole, quindi il suo compito era di mantenere l'equilibrio tra le dimensioni, un delicato equilibrio che se fosse stato sbilanciato avrebbe causato il collasso della sua opera infinita.
Camminò per qualche tempo, lasciando dietro di sé una traccia di zoccoli illuminata, e osservò la mancanza di qualsiasi tipo di vita fino all'orizzonte, ma il muso non tradì alcuna emozione. Decise di aver camminato abbastanza, rallentò e si fermò sopra un crinale carbonizzato che una volta forse era una montagna; abbassò la testa quasi fino a toccare il terreno. Aprì la bocca e lasciò cadere qualcosa che somigliava ad un seme, ma di opaca pietra nera. Con una zampa ruppe la crosta dura del terreno e lo spinse in profondità. Poi si voltò, spiegò le ali e si librò in volo, scomparendo in un bagliore di luci.
Pian piano attorno al nero seme cominciò a crescere l'erba verde e fresca, che si propagava in lunghe lingue di smeraldo che andavano a chiudere i buchi, e la terra si popolò nuovamente di bacche e di fiori. Ma da quel seme crebbe anche un albero della stessa roccia nera, che si diramò in undici rami: dieci di questi divennero simili a statue molto grezze, cinque maschili e cinque femminili, disposte attorno all'undicesimo ramo, il più voluminoso, che crebbe e crebbe, e sviluppò sulla sua superficie un lungo testo, che cominciava così:
"Io, padre degli dei, affido nuovamente a voi questa terra, perché la possiate amare e dominare. Questi sono i nostri insegnamenti per vivere in equilibrio con voi stessi e con il cosmo che vi sovrasta. Seguite la dottrina e vivrete per sempre, violatela e subirete le ire degli dei. Dietro di voi giacciono i vostri avi, una moltitudine sacrificata per l'egoismo e l'ingordigia di pochi, possiate voi pregarli e ricordarli, perché loro sono le ossa che concimano il vostro cibo. Davanti a voi invece i vostri figli, e poi i figli dei vostri figli, possiate insegnare loro la dottrina come io la sto impartendo a voi, affinché possano perpetuare di generazione in generazione e non ricadere negli stessi errori. Andate, e governate questa terra in equilibrio, perché vostro sarà il merito come la colpa."